Sebastião Salgado è conosciuto in tutto il mondo come uno dei più grandi reporter contemporanei; un fotografo in grado di comunicare diverse sfaccettature della condizione umana – e non solo – in modo diretto e coinvolgente. Senza cadere in inutili pietismi, le sue foto sono in grado di far riflettere, andando oltre la sterile ripresa degli eventi.
Le origini
Sebastião nasce in Brasile nel 1944 nella fattoria Bulcão, nella grande valle del Rio Doce, immersa nella foresta atlantica. A soli quindici anni lascia la fattoria di famiglia per terminare gli studi a Vitória, dove scopre una realtà nuova, moderna, del tutto differente dalla quotidianità rurale nella quale era cresciuto. Deciso a voler dare il suo apporto allo sviluppo del paese, intraprende gli studi di economia, che inconsapevolmente saranno anche un solido aiuto alla sua carriera di reporter. La sua formazione infatti gli ha sempre dato una marcia in più nel comprendere velocemente i contesti e le situazioni sociali ed economiche con cui era chiamato ad interagire, a volte anche con pochissimo tempo a disposizione per prepararsi.
Il primo contatto con la fotografia avviene nel 1970 quando la moglie Leila acquista per lavoro ua macchina fotografica, ma della quale è in realtà Sebastião ad innamorarsi. Inizia a lavorare ai suoi primi reportage e, grazie alle sue missioni come economista, visita l’Africa a più riprese. L’impatto è fortissimo, il fascino verso questo continente e la sua sensibilità verso le condizioni critiche del suo popolo lo portano gradualmente a prendere la decisione, nel 1973, di diventare fotografo professionista e testimone di un mondo che deve cambiare. In questo nuovo cammino Lèila, compagna di vita e avventure, lo appoggerà sempre, curando i contatti con agenzie e clienti e la creazione dei suoi fotolibri.
I primi servizi e Workers, un'ode alla classe lavoratrice
Dopo i primi servizi assieme ad associazioni impegnate nel combattere carestia e siccità in Africa, Salgado collabora per un primo periodo con l’agenzia Gamma per approdare nel 1975 alla Magnum. Nonostante questo gli permetta di allargare notevolmente il suo bacino di contatti, il fotografo sente sempre più bisogno di indipendenza e maggior tempo da dedicare a progetti personali più ambiziosi e di ampio respiro. Nel 1994 fonda assieme a Lèila Amazonas Images, iniziando un nuovo capitolo della sua vita. A questo punto della sua esperienza di reporter Salgado ha firmato lavori importanti che lo hanno reso noto in tutto il mondo e che, soprattutto, hanno dato un enorme contributo alla storia del fotogiornalismo mondiale. Workers – la mano dell’uomo, è forse uno dei suoi progetti più importanti, un elogio ai lavoratori, a chi si sporca le mani, una serie di immagini diventate icona e testimonianza storica. Oltre ad omaggiare la classe lavoratrice, workers intende restituirle la dignità di cui spesso è privata e denunciare le condizioni pessime e precarie cui riversa.
Il viaggio nel viaggio, l'oblio dopo Exodus
Gli anni 90 sono molto impegnativi. Deciso a raccontare la condizione dei profughi, Sebastião Salgado inizia a lavorare ad Exodus; percorre quattro continenti in sei anni, immortalando conflitti e disastri naturali, campi profughi con così tante persone da sembrare infinite, arrivi e partenze di chi, in precario equilibrio tra speranza e rassegnazione, ha investito ogni risparmio per seguire il sogno di una terra promessa. I profughi sono i più vulnerabili, vittime concrete del processo globale nel quale tutto ciò che accade sul pianeta è collegato: le guerre, le logiche dell’economia, la meccanizzazione agricola, la crescita demografica, lo sfruttamento della natura ed i cambiamenti climatici; sono tutti ingranaggi di un meccanismo che alimenta l’enorme fenomeno delle migrazioni. Exodus è una storia di sopravvivenza, ci mostra la tragedia di popoli allo stremo, ma è anche al tempo stesso una storia di coraggio e volontà.
Durante il lavoro su Exodus, Salgado si trova a documentare l’esodo di decine di migliaia di hutu e tutsi in fuga dai massacri ruandesi. Il fotografo ricorda quel periodo come uno dei più duri. Assiste a cose terribili: sotto i suoi occhi le persone muoiono come mosche e non solo per la violenza dei conflitti, ma anche per fame e malattie. L’esperienza in Ruanda lo segna in modo indelebile. Una volta rientrato è a pezzi, le sue condizioni di salute ne risentono molto e cade in una crisi che lo porta quasi ad abbandonare la fotografia. Davanti a tanta sofferenza Salgado sente di aver perso la fiducia verso il mondo e l’umanità. Decide di ritirarsi e tornare a casa, alla fattoria di famiglia, dove tutto era iniziato.
La rinascita in Brasile
In Brasile però non trova ad attenderlo il paese che aveva lasciato. La valle del Rio Doce è completamente cambiata; la foresta pluviale, che verdeggiava per gran parte del territorio, è stata quasi completamente distrutta in nome del progresso. E se da un lato Sebastião ritrova nella sua stessa terra la sensazione di morte da cui stava cercando riparo, dall’altro decide di passare all’azione, rendendosi parte attiva del cambiamento che vuole vedere. Con il loro Instituto Terra, Sebastião e Lèila, si sono impegnati nell’ambizioso sogno di ridare nuova vita alla foresta atlantica. Ad oggi sono stati piantati più di 2 milioni di alberi di oltre 290 diverse varietà ed è stato creato un centro di educazione e restauro ambientale.
Come rinvigorito da questa nuova linfa vitale, nel 2003 Salgado riprende in mano la macchina fotografica per intraprendere un viaggio biblico. La sua ricerca di equilibrio e la ritrovata fede nel mondo si concretizzano in Genesi, una raccolta di oltre 200 immagini potenti e dirette, un inno alla vita, un progetto che, più che una testimonianza, è un vero e proprio atto di amore e riconoscenza verso la natura tutta.
L’esperienza di Sebastião Salgado è così vasta e profonda che riuscire a raccontarne anche un solo aspetto in modo esaustivo va oltre i tempi e gli spazi concessi da un blog. Quel che traspare in modo chiaro e diretto è la sua totale devozione al nostro pianeta, la sua capacità di amare nel senso più sublime del termine, la sua immensa umanità. La sua storia, costellata di scelte difficili e slanci coraggiosi, ma anche di fragilità e resistenza, non fanno che ricordarci l’uomo che sta dietro al fotografo, il cuore dietro la macchina fotografica. L’obiettivo dietro l’obiettivo dietro l’obiettivo.
A conti fatti, Sebastião Salgado resta uno dei fotografi che, grazie alla sua sensibilità, più è riuscito a fornire un ritratto autentico e intimo del nostro pianeta, nelle sue bellezze nascoste e orrori rivelati, da e agli occhi di un uomo.