Fra le fotografe più importanti e celebri del secolo passato, Diane Arbus è un personaggio chiave nella storia delle arti visive; la sua esistenza e le sue opere testimoniano gli enormi cambiamenti della società accadute tra la seconda guerra mondiale e gli anni sessanta. Con il suo lavoro, Diane ha sconvolto il suo pubblico, forse ancora poco avvezzo ad un linguaggio così puro e diretto, al punto di venire soprannominata “la fotografa dei mostri”. In realtà le sue fotografie rivelano un profondo talento, in grado di carpire l’intima essenza dei suoi soggetti per restituirne un’immagine autentica. I suoi soggetti tornano più volte nei suoi scatti, senza giudizi o opinioni, solo mostrando una dimensione intima e privata che coglie una sfumatura inedita di emozioni. Diventa famosa per le sue immagini complesse, abitate da sguardi difficili da sostenere e realtà spesso dimenticate ed abbandonate.
Gli inizi
Nata nel 1923 da una benestante famiglia di origini Russe, Diane cresce in un ambiente sicuro e moderno, frequentando le migliori scuole di New York. Lontana dai rischi e dalle incertezze che una grande città può nascondere, Diane si scopre fin dalla tenera età portata alla letteratura e alle arti visive.
Nel 1937, a soli 14 anni conosce Allan Arbus. La loro unione, malvista dalla famiglia di Diane sia per gli anni che li separavano, sia per l’evidente dislivello sociale, viene consacrata dal matrimonio appena un mese dopo il compimento dei 18 anni di Diane.
Inseguendo la loro comune passione per la fotografia, Diane e Allan allestiscono una camera oscura nel bagno del loro appartamento e cominciano a lavorare insieme; iniziando da scatti pubblicitari per il negozio di famiglia. Al rientro dal conflitto mondiale, presso il quale Allan era impiegato come fotografo, la giovane coppia decide di avviare un vero e proprio studio che diventerà famoso per la precisione e la meticolosità degli scatti. La loro produzione viene apprezzata e ben presto inizia ad apparire su riviste come Glamour, Seventeen o Vogue. Nel 1947 un servizio pubblicato da Glamour, sancisce la notorietà della coppia oltre la cerchia dei colleghi e degli addetti ai lavori.
La cosa che preferisco è andare dove non sono mai stata
Gli anni 50 sono anni di profondi cambiamenti per Diane che realizza di non aver alcun interesse verso la fotografia di moda ed il mondo patinato che crea nei suoi set, in pieno contrasto con la sua personalità libera di allontanarsi dai canoni delle riviste e delle sfilate.
Diane supera i limiti della sua timidezza e si dedica a soggetti che la interessano davvero, dando inizio al percorso che la porterà ad essere conosciuta come la “fotografa dei mostri”; il suo sguardo non riesce a distogliersi da ciò che è grottesco, diverso.
In quegli anni anche il suo matrimonio va in crisi: Diane e Allan si separano nel 1959 e divorzieranno dieci anni dopo. Abbandonata la fotografia di studio, Diane si immerge nella brulicante New York, dal centro alle periferie, dalla vivace e spensierata quotidianità di Coney Island e Central Park alle grottesche figure bizzarre che si esibiscono all’Hubert Dime Museum, il circo delle pulci e le balere di Harlem. Per lei è iniziata una nuova stagione, stimolata da un modo nuovo di vedere la realtà, in completa antitesi con il mondo agiato in cui era cresciuta.
Nel 1960 pubblica su esquire “The vertical journey”, ispirato dalle avventure di Alice nel paese delle meraviglie; nel 1961 appare su Harpar’s Bazaar The full circle, che desta scalpore e indignazione, così come le sue opere esposte nel 1965 e nel 1967 al MOMA che spesso dovevano essere ripulite dagli sputi dei visitatori.
La serie Untitled ed il suicidio
Nel 1970, ottenendo i permessi per fotografare in alcune strutture psichiatriche del New Jersey, pubblica Untitled, il suo ultimo servizio. Vittima delle pressioni dovute ad un successo sempre più altalenante e ormai in preda alla depressione, Diane perde piano piano interesse verso la fotografia. Nella notte del 26 luglio 1971 decide di porre fine alla sua vita deglutendo barbiturici e tagliandosi le vene.